“Fai tutto bene: come la fatica mi ha insegnato a vincere” – INTERVISTA A MARTA PAGNINI
MARTA PAGNINI
Marta Pagnini, nata a Firenze nel 1991 ma residente a Prato, ha iniziato a praticare ginnastica ritmica alla storica “Etruria”, la palestra dove è cresciuto anche Jury Chechi. Si appassiona allo sport e si trasferisce in centri sempre più importanti per allenarsi meglio. La preparazione atletica è dura e Marta conosce momenti di infortunio, di crisi e di sconforto ma li supera sempre, grazie alla forza di volontà e al sostegno della famiglia. In particolare la nonna, col suo quotidiano “Fai tutto bene”, la aiuta a restare sempre serena e concentrata sugli obiettivi.
Nel 2007, a 18 anni, entra a far parte delle “Farfalle”, la nazionale italiana di ginnastica ritmica. Animata da grande umiltà e disciplina, ma anche senso dell’amicizia, riveste i ruoli prima di riserva, poi di titolare e infine di capitano.
Con le Farfalle prenderà parte a 4 mondiali, 3 Europei e oltre 25 World Cup, conquistando complessivamente più di 60 medaglie di cui 4 iridate (2 ori e 6 bronzi) e tre continentali. Alle Olimpiadi di Londra 2012 le Farfalle vincono il bronzo mentre a Rio 2016 arrivano quarte. In quest’ultima occasione il podio è solo sfiorato ma Marta chiude la carriera con un sorriso: come diceva la nonna, “ha fatto tutto bene”.
Oggi Marta Pagnini è laureanda alla facoltà di Scienze Linguistiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano anche se non ha abbandonato del tutto il mondo dello sport: infatti è giudice internazionale ed ha iniziato a allenare. In questi mesi è uscita la sua autobiografia “Fai tutto bene: come la fatica mi ha insegnato a vincere”, scritta in collaborazione con la giornalista Ilaria Brugnotti, edizioni Baldini Castoldi. Abbiamo raggiunto Marta Pagnini per un’intervista: abbiamo trovato una ragazza simpatica e vitale.
Ciao Marta, hai iniziato ginnastica ritmica verso 8 anni: avevi un sogno? E’ stato subito un colpo di fulmine, oppure l’amore è cresciuto lungo il percorso?
Quando ho iniziato non avevo esattamente un sogno: a 8 anni la mamma mi portò a fare ginnastica artistica alla Palestra Etruria di Prato. Lì le insegnanti notarono che ero molto più adatta a fare la ritmica e mi fecero cambiare corso. Mi sono innamorata della ritmica appena ho visto il nastro ma penso che se prima avessi visto un allenamento di pattinaggio sul ghiaccio forse mi sarei innamorata di quello: non so perché è capitata proprio la ritmica, è stata davvero una coincidenza fortunata.
Cosa hai provato quando hai realizzato il tuo sogno?
Il sogno di ogni atleta è andare alle Olimpiadi e io l’ho realizzato a Londra nel 2012: è stato assolutamente meraviglioso! Però devo anche dire che questa cosa del sogno è complessa perché a un certo punto ti accorgi che non è più una questione di competizione, di medaglie o piazzamento in classifica. A un certo punto il sogno diventa riuscire a realizzare quello per cui si lavora, questo diventa il sogno: fare bene in gara, questa è la cosa fondamentale. La soddisfazione più grande diventa riuscire a mostrare a tutto il mondo il lavoro che si è fatto con tanto tanto sudore in palestra.
Quali sono le caratteristiche mentali più importanti nella ginnastica ritmica?
Nella ginnastica ritmica le caratteristiche mentali sono davvero fondamentali e si possono allenare come quelle fisiche: del resto nessuno nasce imparato. Alla base di tutto c’è la volontà di essere sempre migliori, di imparare sempre qualcosa, di adattarsi in base alle esigenze della squadra. Poi ci vogliono le classiche qualità necessarie per realizzare qualcosa di importante: tanta disciplina, autocontrollo, impegno, costanza…
Queste qualità le avevi di natura oppure le hai allenate? Come?
Per molti aspetti ero mentalmente predisposta ma per altri ho dovuto lavorare molto su me stessa. Ad esempio, fin da piccola io ho sempre avuto un grande spirito da leader e quando nel 2013 sono diventata capitano della nazionale, da una parte ero molto adatta per questo ruolo ma dall’altra ho dovuto imparare a modificare alcune mie attitudini che potevano essere dannose per il gruppo. Tra l’altro mi rendo conto che ho iniziato a lavorarci davvero quando sono riuscita a capire quale era il mio errore, soprattutto grazie al fondamentale e preziosissimo aiuto della mia psicologa Elena Campanini.
In questo percorso quale è stato il ruolo della famiglia?
La famiglia è stata davvero fondamentale: ho due genitori super fantastici che mi hanno sempre incoraggiata ad andare sempre avanti, facendomi sentire accolta sia quando le cose andavano sia quando non andavano. Oltre a questo penso che la più grande qualità dei miei genitori è che non mi hanno mai messa contro i miei istruttori. Mi spiego: quando ci sono stati dei problemi con i miei insegnanti, i miei genitori hanno sempre cercato di mitigare la situazione, lasciandomi fiduciosa nei loro confronti. Se avessi perso la fiducia in quelli che erano i miei tutori, non credo che sarei andata molto avanti…
Hai avuto diversi allenatori severi. Secondo te è possibile raggiungere grandi obiettivi con metodi diversi?
Beh, puntualizziamo: una cosa è essere severi e una cosa è essere matti. Le mie insegnanti migliori come Emanuela Maccarani e Olga Tishina sono state severe, io stessa sono severa quando adesso alleno le bambine o le ragazzine. Il sistema del bastone e della carota è una tecnica educativa normale, a volte necessaria: non si può essere sempre morbidi. Il punto è che alcune delle mie insegnanti sono andate ben oltre il limite della severità, usando metodi estremi, controproducenti e dannosi, perché se si va ad intaccare con forza l’autostima di una persona, chi può sapere quali sono i risvolti? Ancora oggi mi chiedo come facessero a non rendersi conto di ottenere l’effetto opposto…
Cosa pensi della figura dello psicologo dello sport?
Per me la psicologa è stata TUTTO: ho deciso di andare dalla psicologa su consiglio della mamma, negli ultimi tre anni come capitano, e per me è stata un’esperienza davvero importantissima. Non so se senza di lei sarei arrivata fino in fondo in questo modo. E’ stata veramente incredibile, è entrata da subito in empatia con me, ha saputo ascoltarmi e dirmi le cose giuste. E continuo ancora ad andarci: ogni tanto faccio un piccolo check up perché per me è una persona fondamentale.
Come ti preparavi prima di una gara? Hai mai usato tecniche di mental training oppure tecniche spontanee?
Sì sì, ho usato soprattutto tecniche di mindfulness e meditazione e mi hanno aiutato molto, anche se più che la meditazione, la vera chiave di volta è stata l’atteggiamento positivo. Di sicuro usare delle piccole tecniche, anche basilari, ottimizzate al contesto, può aiutare molto.
Concludendo, come valuti la tua esperienza agonistica? Rifaresti tutto?
Questo percorso mi ha dato dei momenti di sofferenza, è innegabile, però mi ha anche insegnato tante cose nel modo giusto: tanto che per certi versi mi sento avanti rispetto alle mie coetanee. Tirando le somme sono state molte più le cose positive quindi devo dire che sono davvero contenta della mia avventura! Fondamentalmente consiglierei questo sport a chiunque, soprattutto a quelle ragazze che lo fanno unicamente per amore della ginnastica: anche se lo pratichi a livello amatoriale resta sempre un grosso impegno ma se lo fai per puro piacere diventa una cosa estremamente gratificante. Questo senza voler minimamente sminuire le meravigliose medaglie e i meravigliosi successi che ho raggiunto con la mia squadra, è solo per dire ai ragazzi: fate sport perché è una cosa che veramente ti dà tanto!
TIRIAMO LE SOMME
Marta ha realizzato un percorso agonistico di altissimo livello quindi ha tutte le caratteristiche mentali della vera campionessa: alcune le ha per natura, altre perché le ha sviluppate con metodi autodidatti o grazie all’aiuto del suo entourage. Il suo racconto presenta una miniera di elementi interessanti dal punto di vista psicologico: mettiamone in evidenza quattro.
Volontà di migliorarsi
Marta sembra essere molto familiare con una caratteristica davvero speciale: la volontà di migliorarsi. Questa facoltà nei tempi antichi era considerata la più alta espressione dello spirito umano, l’arma che consentiva di elevarsi al di sopra della passività e del conformismo. Eppure oggi questa idea è andata così perduta che oggi la si può rintracciare solo nei programmi educativi più avanzati, come quelli legati al cosiddetto flow, ossia lo stato di coscienza che sta alla base delle peak performances e degli apprendimenti ottimali: ne parleremo presto in altri articoli.
Allenare la mente
Nell’intervista Marta afferma con grande serenità che è possibile allenare caratteristiche mentali come la costanza, l’impegno e la disciplina. L’idea che le qualità mentali si possano allenare come quelle fisiche è ormai scientificamente dimostrata e il mental training si basa proprio su questo principio. Tuttavia per il grande pubblico non è ancora qualcosa di completamente acquisito: in campo sportivo inizia a diffondersi in questi anni, quando molti grandi campioni, da Federica Pellegrini a Roger Federer, hanno ammesso di ricorrere alla psicologia dello sport. Di sicuro la convinzione che le facoltà mentali siano allenabili è stata una delle chiavi del successo di Marta Pagnini: avendo accettato in modo così naturale questa idea, ha potuto svolgere un lavoro su se stessa che le ha consentito di realizzare una performance superiore.
“Fai tutto bene”
Un passaggio dell’intervista rivela una maturità davvero notevole: è quando Marta dice che a un certo punto della sua carriera l’obiettivo non è stato più la medaglia o il piazzamento in classifica ma è diventato “fare bene” cioè esprimere una performance all’altezza della preparazione portata avanti in palestra. Questo cambio di prospettiva è quello che in psicologia dello sport si chiama passaggio da un obiettivo di risultato a un obiettivo di performance. Si tratta di una grande svolta a livello mentale che ha benefiche ripercussioni su tutta la preparazione sportiva, dal livello di motivazione alla gestione delle energie.
Famiglia, psicologa e allenatrici
Uno dei nodi cruciali della storia di Marta è sicuramente il rapporto con le sue allenatrici. Infatti leggiamo nell’intervista che se da una parte Marta ha avuto allenatrici molto costruttive, dall’altra ne ha avute anche di assolutamente inadatte da un punto di vista umano. Marta è stata intelligente e anche fortunata perché insieme alla famiglia e alla psicologa è riuscita a “salvare” sia il suo percorso umano che il suo percorso atletico. Però viene da chiedersi quanti atleti, trovandosi davanti agli stessi problemi, ne escano emotivamente feriti e restino esclusi dal “lato buono” dello sport, dal suo potenziale educativo che Marta ha recepito e di cui giustamente va fiera.
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