Il vero campione cade e si rialza
Uno dei compititi dell’allenamento mentale è quello di aiutare l’atleta ad affrontare l’infortunio: infatti si tratta di un evento altamente critico che può avere conseguenze assai drammatiche per uno sportivo, come l’allontanamento dall’ambiente di gioco, la rinuncia ai propri progetti e il dover ricominciare da capo.
In questi frangenti una delle chiavi per superare la crisi consiste nell’identificare le variabili su cui è possibile agire e quali no, canalizzando gli sforzi di tutti i soggetti coinvolti per renderli produttivi al massimo, a beneficio dell’atleta.
Stefano Sensi, venticinquenne centrocampista dell’Inter definito il “maestro” per il suo impegno e le abilità di regista, ha dovuto rinunciare a 29 partire e fermarsi per 168 giorni a causa di infortuni. Le sue parole sono chiare: “gli infortuni mi hanno tolto il sorriso”. La batosta è stata tanto più dura perché è arrivata in un momento d’oro: 3 gol e 4 assist nelle prime sette partite. Iniziare scalando la vetta e bloccarsi più e più volte a causa degli infortuni può scalfire anche la mente più resistente e resiliente. “E’ difficile mascherare il malessere” dichiara Stefano.
Si può parlare di sfortuna in questi casi? Se iniziamo a parlare di sfortuna finiremo per cercare scuse invece di soluzioni. Secondo te un campione pensa così?
“SE LA VITA TI DA’ LIMONI, FAI LIMONATE”
L’atleta infortunato che da protagonista diventa spettatore corre il rischio di scoraggiarsi, demotivarsi, di sviluppare aspettative negative su di sé e sul suo futuro. Cosa fare? In questi casi i programmi di mental training si concentrano sulla ristrutturazione di obiettivi e aspettative.
Uno sportivo sa che prima del giorno clou (gara, test…) deve fare test intermedi ed allenamenti quotidiani: questi sono obiettivi a breve e medio termine. In casi d’infortunio, proprio per le lunghe tempistiche, è importante che l’atleta impari a trasferire il centro della sua attenzione da un obiettivo di risultato (gareggiare e vincere) a un obiettivo di prestazione: ad esempio, intensificare i carichi usati nella riabilitazione, prolungare gli allenamenti, partecipare a metà partita e infine arrivare a giocare per 90 minuti.
LA GIUSTA IDEA RISVEGLIA LE ENERGIE
Se diciamo a un atleta “ci servi in campo tra tre o quattro partite” è assai probabile che lo metteremo ancora più sotto pressione. Invece una frase del tipo: “Aumenta di 10 minuti la riabilitazione ogni due giorni, per tre settimane, poi farai una partitella di prova” gli pone davanti una serie di piccole sfide di intensità crescente, ma alla sua portata.
Creando con e per l’atleta una serie di step scadenzarti temporalmente, alla fine del percorso lo sportivo potrà sentirsi fiero di averli portati a termine con successo e questa sarà la migliore base emotiva per il rientro in campo.
In parallelo dovranno essere smantellate le credenze negative su di sé e sul suo futuro.
“Non tornerò mai in partita, non sarò più quello di prima”. Pensieri di questo tipo possono affacciarsi alla mente dell’atleta e sono comprensibili. In queste situazioni la cosa migliore da fare non è alimentarli nè ignorarli: lo sportivo deve prenderne coscienza e trasformarli in idee più utili e realistiche, del tipo “Non sarò quello di prima proprio perché sarò migliore: avrò più esperienza, più saggezza e sarò più determinato.”
Per un atleta questo passaggio psicologico è importante quanto saper tirare la giusta punizione: forse è per questo motivo che è importante l’aiuto di un trainer… mentale!
PRONTI, PARTENZA… VIA!
Stai facendo riabilitazione e ti alleni; il tuo ordine mentale ti fa sentire padrone della situazione, raggiungi gli obiettivi che ti sei prefissato e non ti fai scoraggiare dagli eventi negativi. Ottimo, hai imparato e sei sempre più vicino all’autonomia.
Lo psicologo dello sport ti aiuta a restare sveglio quando le circostanze vogliono confonderti; ti insegna a usare tecniche psicologiche efficaci in modo autonomo, rimettendo in piedi la tua speranza e la tua motivazione.
Il campione non è chi non sbaglia, ma chi lo fa spesso, in grande e rialzandosi ogni volta. Come dichiara anche il grande Michael Phelps “ho lottato […] ho deciso di chiedere l’aiuto di un terapista qualificato: alla fine questa decisione mi ha aiutato a salvarmi la vita”.
Articolo a cura del Dott. Umberto Tagliasacchi, Psicologo
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