Lo psicologo mi ha aiutato nella mia “gara magica”: intervista a Stefania Cicali
Stefania Cicali, classe 1987, è una delle migliori canoiste italiane di sempre: argento ai Mondiali 2017 nel K-2 200 metri, bronzo nel 2007 agli Europei nel K-4 1000 metri, bronzo nel K-1 1000 metri ai Giochi del Mediterraneo del 2009 e argento ai Giochi mondiali 2013 nel K-2.
L’abbiamo raggiunta per quattro chiacchiere…
Come hai iniziato a praticare il tuo sport? Cosa ti piaceva?
Ho iniziato a 9 anni dopo aver fatto un corso di nuoto apposito perché per poter praticare questo sport bisogna saper nuotare molto bene. Ho seguito le orme di mio papà, anche lui infatti faceva canoa da giovane. Non era favorevolissimo al fatto che io iniziassi, ma vedendo che anche mio fratello lo stava praticando, mi sono impuntata e ho voluto a tutti i costi iniziare.
Avevi un sogno fin dall’inizio, oppure lo hai maturato nel tempo?
In realtà ho iniziato senza grandi ambizioni, avevo semplicemente voglia di fare canoa, poi praticando lo sport ho ottenuto risultati molto positivi che nel corso del tempo mi hanno motivata e permesso di costruire una vera e propria carriera in questo sport.
Quali sono le caratteristiche fisiche per fare bene il tuo sport?
Sicuramente è fondamentale la tecnica, quindi coordinazione e tanta forza. Sono aspetti sui quali ho lavorato molto, tra l’altro secondo me le donne in questi fanno più fatica rispetto agli uomini, di conseguenza non possono essere trascurati in nessun momento. Infine, anche una grande capacità aerobica, poiché le gare richiedono grandi sforzi, di conseguenza allenamenti molto intensi per poter essere performanti in gara.
Quali sono le caratteristiche mentali per fare bene questo sport?
Secondo me ci vuole qualsiasi aspetto mentale possibile: la concentrazione parte già nel pre-gara, quando tutto è così intenso che non si possono commettere errori, perché sarebbero irrecuperabili… poi capacità di sopportazione della fatica, ma anche grande determinazione e motivazione, soprattutto nel periodo invernale dove le condizioni climatiche rendono davvero tosto l’ambiente.
Queste caratteristiche le possedevi di natura oppure le hai allenate?
Di mia natura sono testarda e determinata, avevo una voglia di fare enorme, ero motivatissima, quindi mi allenavo sia durante gli allenamenti che a casa da sola, non l’ho mai vissuto come un hobby. Credo quindi che avessi una buona base da cui partire.
Avevi delle strategie mentali consapevoli?
Si, assolutamente. Il pre-gara è sempre stato totalmente standardizzato per me. Il giorno della gara, dal mio risveglio, al riscaldamento svolgevo tutto nella solita sequenza. Questa routine mi ha aiutata molto a calmare l’ansia e a vivere più serenamente gli attimi precedenti le gare. Durante le gare, invece, cercavo di controllare il più possibile i pensieri rimanendo concentrata su aspetti tecnici e sulla prestazione.
Com’era la tua settimana tipo?
La mia settimana tipo era allucinante: allenamenti doppi ogni giorno, era difficilissimo avere anche solo un pomeriggio libero. La mattina solitamente mi allenavo in acqua facendo più o meno 40km al giorno e il pomeriggio in palestra con pesi e altre tipologie di esercizi. Le condizioni metereologiche potevano alterare questo equilibrio, ma sicuramente non mi portavano maggiore riposo. Anche qui la forza mentale veniva messa a dura prova.
Quali figure ti hanno aiutato nel tuo percorso?
Inizialmente la mia famiglia, tantissimo, mi portavano agli allenamenti ed era un gran sacrificio, poi mio fratello, che avendo iniziato prima di me poteva darmi dritte. Successivamente il mio compagno, canoista anche lui, mi ha aiutato tantissimo e ha sempre compreso certe difficoltà logistiche, come gare all’estero o comunque mancanze di tempo perché allenandoti così tanto rimane ben poco tempo libero. La mia squadra è sempre stata una forza, ho avuto a che fare con grandi campioni come Josefa Idem e mi sono sempre trovata bene.
C’è qualcosa che cambieresti del tuo passato sportivo?
Sicuramente avrei voluto viverla meglio, perché magari in alcuni momenti mi è costato un po’ di tristezza, come saltare le gite delle superiori o comunque parecchie cose che fanno parte della vita di un’adolescente. Ecco se l’avessi vissuta un po’ meno all’estremo non sarei arrivata a dire “ok, ora basta” e sarebbe stato meno stressante, però in linea di massima sono contenta della mia carriera.
Hai mai collaborato con uno psicologo dello sport?
Si, già nel 2007 quando ho conosciuto il dott. Vercelli, che era ai tempi lo Psicologo della Nazionale. Da li è nata una mia vera e propria passione per la materia, che mi ha portato ad intraprendere il percorso di studi in Psicologia e poi al Master in Psicologia dello Sport. Con lui mi sono trovata molto bene e ho notato fin da subito grandi differenze con le mie compagne: loro erano molto chiuse e diffidenti nei suoi confronti, io invece mi trovavo molto bene e ogni giorno volevo andare da lui per parlare e farmi aiutare in vari aspetti, a volte anche molto specifici.
C’è una gara che ti è rimasta particolarmente nel cuore perché è stata la gara perfetta, la gara magica?
Assolutamente sì. La mia gara magica è stata durante nel 2009 in Canada dove ho messo in pratica totalmente ciò che avevo appreso durante il periodo insieme allo Psicologo dello Sport. In quella gara arrivai quinta, ma a solo 1 secondo e 2 decimi dall’oro ed era un Mondiale! È stata una gara esagerata che veramente, ancora oggi, mi dà grandi soddisfazioni solo a riviverla mentalmente.
Hai qualche consiglio da dare a chi sta inseguendo il sogno di sfondare in questo sport?
Da subito è bene aver chiaro che questo è uno sport che non regala niente, anzi chiede di tutto e di più, è molto duro. Con questo sport non si diventa né ricchi né famosi, neanche ad alti livelli. È importante quindi che piaccia davvero, avere una grande motivazione. Però dà anche tanto, perché è uno sport completo dove si sta all’aria aperta, si lavora oltre che di braccia, anche di gambe, e quel brivido, appena finisci una gara perfetta, mentre sei stremato, è una sensazione che a parole non si può descrivere.
Intervista a cura del dott. Davide Bellini, psicologo.
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